sabato 24 dicembre 2011

Muve ne Christmas jakanaka



Viste le varie versioni speriamo si scrive così....comunque si, e anche il Natale è arrivato. Dobbiamo ammettere che siamo fortunati, l’anno scorso Alaska, quest’anno Zimbabwe. Di certo non possiamo mica lamentarci. E infatti stiamo benissimo e siamo felicissimi di vivere questa nuova esperienza. Di certo Natale non sembra, abituati alla neve e al freddo anche del nostro trentino, qui con i 30 o più gradi stabili sembra più ferragosto. A parte che tutti ci chiedono soldi o specialmente regali per Natale, l’unica aria Natalizia che tira qui in Ospedale è che tutti sono in ferie, o quasi e l’ospedale è parecchio vuoto. Niente canti, niente feste, niente di niente. E neanche tra i villaggi. Ora, quello che poi è il rito qui, tutti si preparano andando a passare il giorno di Natale come da noi, in famiglia e riunendosi tutti insieme. Mangiando la Sadza e i più fortunati il riso. Per carità, i cattolici non sono molti, ma contando i cristiani si arriva a un buon numero. Diversa la situazione in capitale, dove la città (e fa un certo effetto con ste temperature) è invasa da luci e colori. Babbi Natale giganti e un sacco di pupazzi colorati. Infine molti megafoni all’esterno dei negozi decorati (chi fa le decorazioni e tutto sono privati, bianchi che detengono gran parte dei negozi) suonano e cantano canzoni natalizie. Per finire poi in molti concerti, spesso di bambini o di scuole, di canzoni natalizie, a cui abbiamo partecipato in un’occasione, in una nostra visita a un orfanotrofio. Ma vogliamo raccontare un fatto. Questo ci fa sempre riflettere e ci manda molte volte in tilt perché si scontra con l’esperienza nostra quotidiana. Ogni tanto io (Alessio) vado con la mia auto tra i villaggi su tra le montagne o dentro verso posti rurali, più rurali dell’ospedale, per portare qualche aiuto o dare qualche trasporto soprattutto ai pazienti (la mia auto è nata come ambulanza) con più difficoltà motorie. Sono quelle rare occasioni che si ha a che fare con i veri poveri, i veri bisognosi, che però stanno la, in posti dimenticati dove neanche la strada arriva. Raramente chiedono qualcosa, vengono in ospedale (a centinaia sia chiaro) tutti i giorni, fanno la visita, prendono le medicine e via senza neanche che te ne accorgi. Beh, un pomeriggio accompagno questo paziente a casa e vado da una famiglia a consegnare un sacco di riso. Li si fa qualche piccolo rituale di benvenuto, ma nulla di che. Così chiedo come sta la famiglia, e solite cose. Parlando poi della pioggia il capofamiglia (hanno 5 figli) mi fa: speriamo che la pioggia arrivi presto così possiamo preparare il regalo di Natale per i nostri figli. Io, ingenuamente, chiesi quale era questo regalo e lui mi disse: un sacchettino di pomodori ciascuno, ma dubito ci riusciremo per Natale…aspetteranno. Foto 1: nella notte tra il 24 e 25 abbiamo consegnato a ogni paziente un sacchettino contenente una T-shirt, carne in scatola, 600 gr. di riso, 1 kg di fagioli, 10 confezioni di marmellatine e caramelle. E qui vedete la nostra cariola piena di ottime cose. Potete immaginare la felicità dei pazienti. Foto 2: mentre Alessio e Davide consegnano il pacchettino nel reparto donne. Foto 3: il nostro modo per auguruarvi un Felice Natale!!!

mercoledì 21 dicembre 2011

Aggiornamenti 2011




La pancia di Manu cresce e il nostro piccolo/a si muove sempre di più. Stiamo bene, ora che Natale è vicino, molti sono tornati in Italia per le ferie (praticamente tutti), qui è tutto tranquillo, forse troppo. Da quando i medici sono andati via, in ospedale c’è totale anarchia. Ok, il servizio al paziente c’è sempre, ma non è ottimale. Assenteismo o lunghe pause sono all’ordine del giorno. Per fortuna anche i pazienti sono calati molto. Una cosa molto positiva di queste ultime settimane, è che ci siamo chiariti con il dott. Massimo. Era qualche mese, specialmente novembre, che ci si scontrava spesso e c’era qualche problema. È vero che il clima era molto teso e tutti un po’ (tanto) nervosi, ma ci sarebbe dispiaciuto litigare o non chiarirsi. Così, tra un viaggio ad Harare e qualche serata libera, abbiamo avuto modo di confrontarci e scambiare delle idee. Così facendo abbiamo capito del perché di molte cose, e questo ci ha dato una bella botta positiva. Siamo felici di aver chiarito (per fortuna poi in positivo) con lui queste cose. Di certo ci vengono poi in mente le parole di Lia (ass. provinciale alla solidarietà) che aveva perfettamente individuato l’individualità che c’è qui. Effettivamente, rispetto ad altri posti come Tanzania, Kenya, Botswana e Ovest Zimbabwe, in queste zone non c’è una vera e propria vita di comunità e anche gli stessi villaggi sono case sparse e isolate. Al contrario delle altre zone dove sono disposte a cerchio o comunque vicine. Tutti svolgono una vita per conto loro, sicuramente legata alla famiglia o alle famiglie visto che gli scambi di coppie, poligamia, e (causa i tantissimi morti per AIDS) di parentela sono molte. In effetti è molto facile trovare famiglie con 6-8 figli, ma che in realtà alcuni sono figli, altri nipoti di famigliari deceduti. Chi tira avanti tutta sta storia, è la donna. La donna ha un ruolo fondamentale anche se sottomessa. Si, molti uomini lavorano, ma mai come le donne. E quello che l’uomo guadagna difficilmente lo mette a disposizione della donna, ma se lo tiene per se o al massimo per la casa e i figli quando va bene. Chi fa tutto in casa e fuori è la donna, chi si occupa dei figli è la donna, chi porta a casa due lire è soprattutto la donna, chi è maltrattata, a volte picchiata, molte volte tradita, è la donna. Eppure, con una forza da leoni, si tira su e continua a fare la vita quotidiana devota ai figli. L’uomo magari lavora si, ma poi passa ore e ore sotto una pianta all’ombra o purtroppo al bar a ubriacarsi. Pochi sono gli uomini che aiutano nell’orto o con i figli se lavorano fuori casa, ma dai per fortuna ci sono. Una delle cose che più ci fa riflettere e arrabbiare è che quando parli con la gente in generale è per lo più perché hanno uno scopo ben preciso: ricevere. Per carità capiamo benissimo le necessità, ma pochi ti chiedono come stai realmente perché interessati (anche in Italia per quello), e spesso usano parole come I need, I want, Give me! Tradotto è: ho bisogno, io voglio e dammi. E non vanno per il gentile, come se tutto fosse dovuto solo perché siamo europei. Ci soffriamo molto davanti a queste cose entrate ormai nel nostro quotidiano, ma è così. E per le generazioni future la cosa non è rosea. Ormai sono 10 mesi che siamo qui, e tornando con la mente a febbraio, notiamo un netto cambiamento nel paese. Si per carità, corruzione e ingiustizie sono all’ordine del giorno e difficilmente cambieranno (visto che poi è nel Dna di questo popolo, seppur pacifico), ma si vedono più negozi e con gli scaffali pieni di cose, ormai si trova di tutto, qualche lavoro infrastrutturale è stato fatto, e il Paese ha avuto una crescita notevole in meno di un anno. È vero la presenza di bianchi qui è altissima, ma Harare per esempio, è cambiata come dal giorno alla notte. E sembra di essere in una comune capitale europea. Peccato che però questa gente (i bianchi) non hanno capito che questo è un paese africano e fanno ancora i “padroni”. Di conseguenza, sono pochi gli africani con spirito di iniziativa o che provano a dare una scossa a questa cosa,e purtroppo la pigrizia e la malavoglia, o chissà che, li rende ancora “sottomessi”. Ora alcune catene multinazionali stanno aprendo punti vendita nelle città più importanti, e questo creerà grossi problemi ai piccoli mercanti locali. I prezzi stanno continuando a oscillare e salire….la nostra paura è che questa salita vertiginosa (sia di prezzi che di benestare nel paese) possa creare un grosso distacco tra i poveri (veri poveri), chi comunque vive (una grossa percentuale) e i ricchi, rimandando il Paese (e quindi i più poveri) nel baratro di alcuni anni fa. Foto 1: biglietto lasciato da una donna affamata, di certo non pretendiamo che tutte siano così, ma almeno un pò di educazione e rispetto si; Foto 2 e Foto 3: capanne e villaggi raggiunti con la mia auto carica di aiuti che provengono dai container di Carlo, a volte non esiste strada per arrivarci; Foto 4: la clinica dentistica ultimata e completamente funzionante; Foto 5: la nuova clinica oculistica completa e operativa.

domenica 4 dicembre 2011

Drink

Purtroppo ci accorgiamo sempre più che tutto quello che ci sta intorno è come una “piovra” o un “cancro”, troppo inserito nelle società dove istituzioni, beneficiari, africani o europei…ci sono dentro in pieno (non tutti per carità, o per fortuna). Ma vabbè questo sarà un altro capitolo. Di quello che vogliamo scrivere riguarda le bevande. Partiamo dalla più soft “coca cola”, la bevanda più diffusa e bevuta in tutto il paese insieme alla fanta e sprite. La pubblicità martella ogni angolo sia dei paesini che delle città, e si trova ovunque. Il prezzo è molto buono, 0,50 centesimi di dollaro per una bottiglietta da 300 ml. Insomma chi non se la può permettere? Tutti più o meno hanno mezzo dollaro al giorno per prenderla. E quindi si è trasformato in un business dove le famiglie investono 10 dollari per una cassa da 24 e, vendendole, ne ricavano 12. Quindi il guadagno per cassa è di 2 dollari. In media ne vendono 2-3 casse al giorno e questo è il guadagno giornaliero 4-6 dollari. Non male per chi vive nelle aree rurali. Poi arrotondano il tutto con gli ortaggi. Sicuramente non è facile campare con questi pochi soldi ma per la gente è superconveniente ed è un “arrotondare” lo “stipendio”. Vi chiederete chi compra la bevanda. Beh, chi lavora alla fine del turno o durante la pausa se la può permettere, ma molti (i disoccupati) la bevono per pranzo. Si il loro pasto è un filone di pane (qualche fetta il resto deve durare per un altro giorno) senza niente o magari con un po’ di verdura, dal costo di 1 dollaro (700 gr.) e la bottiglietta di coca. Dicono che è molto Power e da le energie necessarie…..ma con sto caldo e il lavoro che uno svolge negli orti o sulla strada, pensate cosa può essere una bottiglia di coca, per non contare poi i danni al fisico visto che per dei giorni è il pasto principale durante la giornata (la polenta la mangiano alla sera). Bisogna anche ammettere però che sono i maschi ad essere un po’ pigri e la voglia di ricercare qualcosa di meglio (anche la polenta per esempio), non c’è, differente per le donne. L’altro problema, grosso problema, riguarda sempre gli uomini (guarda caso) e riguarda la birra. È una bella lotta chi tra birra e soft drink è il più venduto, certo che gli ubriachi non mancano. La percentuale è altissima, e tutti i santi giorni o specialmente la sera, abbiamo a che fare con ubriachi o comunque ne vediamo tantissimi. Il più sono giovani, tra cui padri di famiglia, che si sfondano nella birra visto il prezzo ragionevole ( 1 dollaro per 0,75 L. per non contare le varie promozioni). Il perché è anche abbastanza semplice e in un certo modo li si capisce. Però se quei pochi soldi che hanno li buttano nella birra siamo freschi. E poi capitano a casa dalle mogli in condizioni pietose. Naturalmente bevono una o due o massimo tre birre, ma non avendo nulla nello stomaco è facile ubriacarsi. Per carità, sia negli USA che in Italia da noi, questo problema è molto diffuso, ma non crediamo nella percentuale che c’è qui. Poi naturalmente salta fuori qualche ragazza…e la diffusione di Aids e malattie è facile, visto che molti qui credono nella poligamia. Insomma non vogliamo alzare il dito su nessuno ne giudicare questi fatti (visto che nessuno o quasi è astemio o santo), ma solo “denunciare” un problema molto grave purtroppo sottovalutato. Foto 1: la nuova cucina ristruttrata con piastrelle e pittura lavabile e le vasche di raccolta dell'acqua; Foto 2: un gruppo di ragazzi ubriachi sulla strada intorno a mezzogiorno; Foto 3: il menù dell'ospedale (porridge è latte o acqua con la farina e dipende cosa c'è che diventa tipo semolino mentre la sadza è la polenta bianca); Foto 4: zebra a Kariba.